inizio a lavare camicie e lenzuola. immergo i tessuti bianchi in una tinozza enorme. è estate. ho in mano un pezzo di sapone pulito, che anche se strofino non si sporca. con una mano tengo i panni, con il ginocchio mi aiuto e inclino un po' di lato la tinozza. l'acqua si svuota sull'erba e mi trovo le bolle tra i piedi. mi avvicino al filo con un fastello da vagabondo. stendo.
a me del bucato piace l'odore. è uno di quelli che ti fa passare il pensiero a vuoto. il bucato, le mandorle e il profumo della gomma pane. quello del lievito di birra, l'aria delle terme, il porto rosso. la felicità è un odore più che una parola. quando la senti ti piace, ti gonfia. non si fa trattenere, rimane un tempo che non puoi prevedere. come un capodanno geriatrico e meravigliante. torna e impari a riconoscerla, come il puzzo di cacca pestata. le parole invece non esistono di per sè, significano l'uso che ne fai. sono oggetti indispensabili ma fanno confusione se non sono attaccate ad un'anima di buon umore. la felicità è un "grazie mille" che ti scappa fuori quando non c'entra niente.
e quelle lenzuola si tendono come vele, le camicie crocifisse scalciano nell'aria. sono mutevoli ma salde. ce ne sono tre infrenate e pulite. mi siedo ad osservarle e mi convinco che sono esattamente quello che mi calza a pennello.
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